domenica 27 febbraio 2011

QUICHE CASALINGA

'SCOMMESSA PEPATA  
E DOLCE VITTORIA'
Mercoledì nel pomeriggio, è passata da casa una mia amica, perché in ufficio aveva perso una scommessa. Come pegno doveva preparare una crostata e una quiche, lei sa che la crostata è una delle mie torte preferite e che devo ammettere mi riescono benino.
Abbiamo deciso di farle tutte e due qui da me, quindi, andate insieme al supermercato e presi gli ingredienti ci siamo messe a prepararle.
Iniziando con la crostata, a metà della preparazione la mia amica è tornata a casa non avendo pensato alla partita di campionato Inter - Bayer (0 - 1)
Abito vicino allo stadio ed è un delirio quando i tifosi escono, così ne ho preparata una per lei e una per me, venute bene!



Tra una cosa e l’altra sono andata a letto verso mezzanotte, dopo aver fatto ordine nella cucina perché la mia amica, il giorno successivo sarebbe tornata per realizzare la quiche.
Non ho mai preparato una quiche, anche se le conosco molto bene, ho letto diverse ricette, forse avendo una fantastica mamma che le ha sempre fatte… anche su ordinazione alle mie feste, non mi ero mai trovata e farne una con le mie mani…
Venerdì per la prima volta ne ho preparata una con la consulenza dell’amica!

INGREDIENTI
Pasta sfoglia (comprata pronta)
100 gr di prosciutto cotto
400 gr di spinaci congelati o 500 gr freschi
300 gr di ricotta
Un tuorlo d’uovo
2 cucchiai d’olio d’oliva
Sale e pepe
Una pirofila o una teglia di alluminio usa e getta e un pennello da cucina.






Abbiamo scongelato e messo a bollire gli spinaci, strizzandoli bene e messi poi in un recipiente.




Poi, con i due cucchiai d’olio in padella abbiamo aggiunto il prosciutto cotto a dadini (tagliato a quadretti o a fettine sottili), fatto rosolare a fuoco basso per evitare che si bruciasse in alcune parti e saltato per alcuni minuti, fino a farlo sembrare del ‘bacon’.







Abbiamo aggiunto gli spinaci, mescolati e amalgamati al prosciutto sempre tenendo il fuoco acceso, cercando di eliminare il più possibile l’acqua dall’impasto.
Quando anche gli spinaci erano ben rosolati, abbiamo lasciato che il ripieno si raffreddasse e quindi spento il fuoco.
Abbiamo iniziato stendere a questo punto
la pasta sfoglia con la sua carta forno nella teglia.
Per teglia è molto comodo usare quella in alluminio, può essere tonda o circolare a vostro piacere e dipende anche dalla forma della pasta.
Noi abbiamo preferito utilizzare una sfoglia tonda, per una teglia rettangolare, e utilizzare poi le parti in eccedenza, come decorazione, in questo caso, nel supermercato che abbiamo scelto, costava anche meno.
Stesa la pasta, il ripieno si è raffreddato abbastanza da permetterci di aggiungere la ricotta fresca amalgamandola perfettamente con il resto dell’impasto e aggiunto sale e pepe a piacere. A questo punto il ripieno era pronto, mancava la "fase" artistica...
Abbiamo steso il ripieno nella teglia e dopo averlo livellato bene, abbiamo piegato l’estremità dei lembi sul ripieno come in un orlo per impedire che quest’ultimo vada sulla teglia in cottura.
Con la pasta avanzata abbiamo preparato delle piccole strisce che abbiamo appoggiato distese diagonalmente, sulla quiche formando una griglia.

Preso finalmente l’uovo di cui abbiamo tenuto solo il tuorlo, e messo in una ciotolina, in cui abbiamo aggiunto un cucchiaio di acqua tiepida, l’abbiamo stemperato con un pennello e quindi passato su tutta la pasta a vista in modo da ottenere un bel colore dorato e lucido al momento di servire la quiche.


L’abbiamo messa nel forno a 200° gradi per circa 30 minuti, tutto dipende dal forno in ogni caso.
Se dopo questo periodo vi sembra che il fondo della quiche, sia ancora troppo bianco e crudo, mantenetelo nel forno e controllate ogni 5 minuti fino a che sia arrivato a cottura ultimata.
Eccovi servita, una quiche semplice, bella da vedere e davvero gustosa.
La quiche o torta salata, è uno di quei piatti che si possono realizzare davvero in poco tempo e fanno una bella figura specialmente quando uno non sa che deve preparare per una cena all’ultimo minuto, quindi vi consiglio di comprare un rotolo di pasta sfoglia e tenerlo nel frigo o anche nel frizer, per ogni occasione.
E’ anche indicata quando si è invitati a un “Porta party”, facile da fare e da portare nelle teglie di alluminio, anche meno impegnativa di una crostata!!!
Oltre questa ricetta, una quiche, si può realizzarla con davvero molti ingredienti, l’importante non utilizzare dei prodotti che possano inumidire troppo la pasta, in questo caso rimarrebbe bagnata e meno appetitosa.


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martedì 22 febbraio 2011

PETASITES ALBUS L.

QUANDO LE NEVI SI SCIOLGONO: 
IL FARFARACCIO BIANCO
Nei giorni di primo Febbraio mi sono inoltrata nel bosco, era così assolato da sentire caldo, come se fossimo già in primavera. La neve era quasi tutta sciolta, a un’altezza di 1000 metri circa.
Lungo un sentiero, scendeva un piccolo rivolo di una sorgente, alimentato sicuramente dalla neve.
E così, abbassando leggermente lo sguardo, ho visto i primi germogli della grandezza di un pollice, ancora completamente chiusi, se non fosse, che conosco bene certi ortaggi, potevano assomigliare alle punte degli asparagi, ma in primo luogo quelli selvatici sono sottilissimi e poi, nascono spontanei in zone più basse, quindi da escludere immediatamente.
Erano così teneri e delicati che sembrava davvero strano vederli spuntare dall’acqua, mentre tutto il bosco è ancora in letargo.
Mio padre senza ulteriori indugi, mi ha detto subito che erano i ‘farfaracci’ dal fiore giallo, vedendo alcuni esemplari più lontani in cui si intravvedeva del giallino. Decido di scattare qualche foto.
Due giorni più tardi tornando nel bosco li riconosciamo, aprendosi leggermente abbiamo notato che il fiore tendeva decisamente al bianco, ho scattato altre foto, notando anche che vicino agli steli con maggior apertura, c’erano anche delle foglioline arrotondate completamente diverse da quelle della corolla dei fiori, lunghe e lanceolate, e mio padre mi ha fatto notare che le vere foglie nascono lungo la loro radice, un vero intreccio a pelo dell’acqua e del terreno.
Dopo aver scattato altre foto e tornati a casa, con un consulto famigliare, abbiamo poi controllato internet, dove abbiamo decisamente escluso il farfaraccio giallo, dai fiori molto più vivaci, colorati ed imponenti, ma ancora perplessi sulla sua varietà.
Caso vuole che mio padre il giorno dopo, non trovando alcun fiore se non qualche ciuffetto d’erica, ha raccolto 5 rametti con tanto di radici di quel farfaraccio, li ha trapiantati in un vaso, coperti da uno strato leggero di erba umida e li ha portati in casa e, con mia fortuna, hanno germogliato come se fossero restati nel bosco.
Ho così potuto osservare diverse fasi della loro crescita che è avvenuta nella settimana.
Dapprima hanno incominciato a vedersi i petali bianchi, che pian piano, hanno formato un bel bouquet, poi lo stelo è cresciuto di almeno una spanna e finalmente tra l’erba sono spuntate delle belle foglioline di un verde intenso.

Abbiamo così decretato che si trattava 
della ‘Petasite Bianca’, o, ‘Petasites albus L.’
Tutto ciò che riporto ora, tranne le immagini, sono le notizie che ho trovato su internet, in parte riassunte con miei commenti, e altre trascritte pedissequamente per non alterare il contenuto scientifico, tutte o quasi trovate su wikipedia. Devo ammettere, che non avrei mai creduto, di poter trovare tante notizie su una così piccola piantina, nata all’inizio dell’anno.

Fu Dioscoride Pedanio medico, botanico e farmacista greco, alla corte dell'imperatore Nerone, a denominare ‘Petasites’ il ‘farfaraccio’ per l’assomiglianza delle sue foglie al ‘petàsos’, un cappello a grandi falde usato dai viaggiatori di quel tempo.
Albus, deriva dal latino bianco.
La Famiglia del Farfaraccio è: l’Asteraceae’, una volta anche detta, famiglia delle Compositae’
Questa è una delle famiglie, più numerosa nell’ambiente vegetale, organizzata in 1530 generi diversi per un totale di quasi 22.750 specie.
Tra il genere petasites, ve ne sono circa una ventina di varietà in tutto l’emisfero boreale, in Italia se ne annoverano ad oggi almeno 4.
I farfaracci fanno parte della sottofamiglia delle 'Tubiflore', caratterizzati per avere delle infiorescenze particolari, racchiuse in ‘capolini’, in un involucro formato da più leggeri strati di foglie dette ‘brattee’, servono da protezione al fiore che, pian piano si schiudono e fanno intravvedere i fiori, piccoli fiorellini ‘tubolosi’, a forma cilindrica, al centro e ‘ligulati’, con leggeri petali nastriformi all’esterno, essi formano inizialmente una sfera, che col crescere si allarga a raggera permettendo anche ai fiorellini interni di sbocciare come a quelli laterali.
Crescendo, lo stelo su cui nascono si allunga, fino all’altezza di 40 cm. Lo stelo è avvolto da foglie squamose e lanceolate dal bordo leggermente frastagliato. Ma queste non sono le vere foglie del ‘Farfaraccio’, esse nascono vicino o a lato dello stelo, lungo l’intricata ramificazione delle radici, che in realtà, è il tronco della pianta, quasi a fioritura completa, fino al formarsi dei frutti con il ‘pappo’ biancastro e morbido, cioè il ciuffetto setoso che permette al seme di volare e diffondersi.
Da Wikipedia:
All'interno del genere, in riferimento alle specie spontanee italiane, il botanico italiano Adriano Fiori (1865 – 1950) le divide in due sezioni ben distinte[2]:
Sezione NARDOSMIA : la corolla dei fiori femminili della zona periferica del capolino sono brevemente ligulati; l'infiorescenza di tipo racemoso è composta da pochi capolini (3 – 10); le brattee del racemo, nella parte inferiore, sono molto grandi, quasi fogliacee.
Sezione EUPETASITES : questa sezione è caratterizzata dall'avere infiorescenze con numerosi capolini spesso organizzati in un racemo allungato (a fine fioritura); le corolle dei fiori radiali sono troncate (o appena ligulate); le foglie-brattee caulinari sono sempre lanceolate-acuminate indipendentemente dalla posizione che possono avere lungo il fusto (basale o apicale).
In questo modo una persona già si può fare un’idea di quante piccole differenze ci possano essere in natura tra famiglie, generi specie e varietà!
In qualsiasi caso possiamo ritornare in particolar modo alla nostra piantina in questione: il ‘Farfaraccio Bianco’!
Per meglio comprendere ed individuare le varie specie del genere (solamente per le specie spontanee della flora italiana) l’elenco che segue utilizza in parte il sistema delle chiavi analitiche che sono 5, che potrete ritrovare anche loro su wikipedia.
Io mi dedicherò a descrivere soltanto la varietà del ‘farfaraccio bianco’.


' Petasites albus (L.) Gaertn.' o 'Farfaraccio bianco', fa parte del Gruppo 3A : le foglie ‘radicali’, cioè come detto prima, che nascono direttamente dalla radice, sono verdi sulla pagina superiore mentre ‘tomentosa’, cioè coperte di peli soffici e setosi come una leggera lanugine, di sotto; i bordi sono doppiamente dentati. Le foglie ‘basali’ o radicali, appaiono quasi a fine fioritura e sono arrotondate, dentellate in modo irregolare, con nervature nella pagina inferiore. L'altezza può variare da 20 a 40 cm; la sua forma biologica è 'geofita rizomatosa', cioè sono piante robuste e perenni con le gemme e il tronco sotterraneo, e rimangono tali fino al cambiamento del clima, quando diventa ideale per la fioritura. E’ una pianta 'Orofita', cioè vive in zone montane in particolar modo sulle sulle Alpi dalla Liguria al Veneto.
Il suo habitat tipico sono le zone acquitrinose, ma con acqua possibilmente non stagnante, zone in qualsiasi caso molto umide e anche tra le faggete (proprio come nel mio caso). Il farfaraccio lo si può trovare a diverse altitudini, che possono variare dai 500 m ai 2000 m.
Fiorisce generalmente con lo scioglimento delle nevi, quindi in generale nasce spontaneamente a marzo, ma a volte fa capolino anche alla fine di gennaio se la temperatura lo permette.
L'inflorescenza è 'racemosa' negli esemplari maschi, mentre nelle femmine forma una larga pannocchia.
Il fiorellino dapprima giallino pallido, crescendo diventa quasi candido…
Tra i ‘farfaracci’ più conosciuti ricordiamo: ‘Petasites hybridus’ o 'Farfaraccio maggiore', molto simile a quello bianco ma molto più grande, specie per le foglie dal diametro che può arrivare a 50/60 cm, appartenente al ‘Gruppo 2A’, ‘Petasites paradoxus’ o ‘farfaraccio niveo’, con foglie di forma triangolare astata e dal fiore rosato chiaro e stelo rosso-brunastro e di dimensioni inferiori alle altre due varietà, appartenente al 'Gruppo 3B', ultimo il ‘Petasites fragrans’ (Vill.) Presl. o ‘Farfaraccio vaniglione’ più piccolo nelle proporzioni, dai colori rosati, non supera gli 800 m di altitudine appartenente al 'Gruppo 1A'.
Diverse altre piantine possono essere scambiate con il farfaraccio, tra le più comuni ricordiamo: ‘Adenostyles’ Cass. (A. alliariae (Gouan) A.Kern., ‘A. glabra’ (Mill.) DC. e ‘A. leucophylla’ (Willd.) Rchb.) anche perché le troviamo nello stesso habitat.

Il farfaraccio viene usato in farmacia, per le sostanze che contiene; olii essenziali, glucoside, mucillaggini, tannini, e sali minerali.
Viene usato anche nella medicina popolare, perché guarisce le ferite, usato come sedativo, per stati nervosi, dolorosi e come calmante della tosse, e anche come regolatore del flusso mestruale.

In Giappone del ‘Petasites japonicus’; vengono usati i piccioli come sottaceti o arrostiti, mentre gli eschimesi usano il ‘Petasites frigidus’ come ortaggio e alcune tribù della California apprezzano il sapore del ‘Petasites palmatus’.
In qualsiasi caso non è consigliato farne un uso smodato perché in grandi quantità risulta tossico a causa di alcuni ‘alcaloidi epatotossici’“pirrolizidinici” .
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martedì 1 febbraio 2011

IL BOSCO SOTTO LA NEVE

FOLLETTI NEL BOSCO?
Alzandomi una mattina di quest’anno nuovo, affacciandomi al mio abbaino, mi sono ritrovata circondata dal biancore lattiginoso della nebbia, in un paesaggio magico, da fiaba nordica.

Ecco in una mattina come quella, ti domandi se davvero esitano abitanti fantastici nel bosco.
Così presa dall'entusiasmo di quella atmosfera, ho infilato gli scarponi giaccone guanti e sciarpa e sono andata fuori per una camminata nel bosco con mio padre.
Fuori è sotto zero, l’aria è cristallina, qualche fiocco leggero di neve vola tra una moltitudine di bambini e adulti indaffarati tra bob, sci e snowboard, tutti con la smania di raggiungere le piste a piedi o in seggiovia, per poi ridiscendere a valle.
Io imbacuccata per tenere lontano il freddo pungente, seguo il sentiero tra le piste con mio padre che fa da guida.
Presto lasciamo l’area degli sciatori e ci inoltriamo nel bosco, costeggiando alcuni chalet dove noto alcune piante di rose, su cui spiccano i frutti rossi, rotondi e appiattiti, dissimili da quelli della rosa canina, che sono ovali e ricordano leggermente la forma di un missile, da noi in Piemonte, chiamati
irriverentemente; “grattacui”per via dei semi urticanti all’interno, molto buoni se seccati e utilizzati come tisana o la polpa rossa per marmellate, quando sono maturi, sia per il sapore, sia per la concentrazione di vitamina ‘C’ e per il brillante colore rosso, sono utilizzati anche nelle decorazioni di fiori secchi.

A fianco di un balcone, si staglia un bellissimo agrifoglio ‘Ilex aquifolium L.’ con foglie verdi scuro e le sue bacche sferiche. E' un arbusto sempreverde, bello in ogni stagione ma che con i suoi colori ci riporta alee decorazioni natalizie.
Camminando sul sentiero, si nota quanto è freddo; sulle staccionate innevate già da settimane prima, sull’erba gelata e sul terreno, si sono cristallizzati i fiocchi di neve, e
poi cresciuti a dismisura con la brina mattutina, realizzando un bianco ricamo coreografico.
 Il bosco sembra dormire, ma osservando con attenzione ci si accorge che alcune piante sono vive, come le felci perfettamente di un verde brillante.
Tra le specie ricordiamoci della piccola felce, Polypodium vulgare L. della famiglia delle Polypodiaceae, viene anche detta, falsa liquirizia per il suo sapore. È usata in fitoterapia come espettorante naturale. Se sei nel bosco, puoi sempre raccogliere un germoglio tenero e masticarlo se hai un senso di sete, addolcendo la bocca.
Sempre nel bosco si possono notare lunghi verdi rami di rovi, con tenere foglie fresche. Stranamente foglie grandi come quelle non ingialliscono e muoiono con l’arrivare dell’inverno.
Cosa invece particolare è il caso del mirtillo: la qualità del mirtillo nero ‘Vaccinium myrtillus’, famiglia delle ‘Ericaceae’ perde completamente le foglie lasciando scoperti i rametti verdissimi e contorti del cespuglio, mentre il mirtillo rosso ‘Vaccinum vitis idea’ o ’ Vaccinium macrocarpon’ mantiene intatte le sue foglioline, e dire che li si può ritrovare alle stesse altitudini e nello stesso habitat come si nota dalle immagini.

Camminando nel bosco, la poca neve scricchiola sotto gli scarponi, tra rametti di abete, larici, pigne, foglie di faggio e aghi di pino, i suoni sono ovattati, oggi nel bosco non c’è nessuno, ma anche il silenzio ha un suo leggero sospiro.
Altri anni sono andata nel bosco tra Dicembre e Febbraio, ma la neve alta attutiva tutto, la luce bianca della neve nascondeva il bosco.
Questo inverno, il mondo sotterraneo lascia intravvedere i suoi abitanti.
Camminando, si vedono i segni del percorso segnato da due strisce di vernice bianca e rossa, per chi ama fare passeggiate.


Osservando il sentiero si notano piccole palline colorate a terra, lasciate dai giocatori della fanta-guerra simulata, io le raccolgo, sono piccole sfere di plastica dura che con il gelo si sono incastrate tra le foglie e la neve, come facessero parte della terra.
Più avanti mio padre mi fa notare delle tane di roditori tra le radici di alberi, attorno hanno cristalli di ghiaccio che si sono formati per la condensa del calore che fuoriesce dai loro corpi.

Questi fori, li vedo per la prima volta, non ci avevo mai fatto caso, davanti ad una delle tane, noto un guscio rosicchiato di castagna, sicuramente portato da uno scoiattolo o da un riccio come riserva per l’inverno, infatti, lì a quell’altezza, non ci sono castagni.
Alcune tane hanno vicino la terra smossa da lunghe gallerie, dove gli animaletti attraversano il bosco nascosti dal terriccio e da aghi di abete.
Ho sempre percorso questo bosco senza soffermarmi nei particolari, di solito solo per andare per funghi, o rilassarmi e assaporare la quiete della natura, questa volta mio padre mi ha mostrato piante e nomi, facendomi notare la differenza tra un abete rosso e uno bianco. Il pino rosso ha rami con una colorazione rosata e gli aghi più scuri e spessi.
Tra la vegetazione viva, passiamo vicino a un abete quasi morto, completamente piegato, probabilmente per una tormenta, con tutte le radici esposte, sembra incredibile che un albero come quello sia stato sradicato, tanto l’intreccio delle radici sia folto.








Tra i rami e la corteccia degli alberi ci sono si trovano muschi e licheni, di diverse forme e consistenze, molto utili ai fungaioli che se muniti di un coltellino senza spazzolino, possono aiutare a pulire dal terreno i funghi.
Più sono morbidi al tatto ma resistenti e elastici, meglio assolvono al compito...






Poco più avanti un abete deve aver sofferto e ora si presenta con enormi gibbosità sulla parte bassa del tronco come se fosse una scultura, le malformazioni sono come le nostre cicatrici, aiutano l’albero a proteggersi dalle avversità.
Riconosco la differenza della corteccia, e delle pigne, di un abete e di un larice, in più, il larice essendo una pianta molto simile all’abete, ma che in realtà perde le foglie, lo si nota dal suo tronco slanciato, lungo e dritto verso l’alto con i suoi rami spogli.La corteccia è formata da grandi scaglie, mentre le pigne sono piccole, buone per una composizione natalizia.




L’abete sia rosso che bianco presenta una corteccia a scaglie più piccole e pigne lunghe molto chiuse, ottime per attizzare il fuoco nel camino.

Ogni tanto tra la vegetazione compare la forma morbida ed elastica di un faggio, dal tronco liscio e macchiato di zone più bianche che lo fa assomigliare vagamente alla betulla. A terra ci sono le sue bacche ‘faggiole’ che tra fine settembre e metà ottobre vanno a maturazione, all’interno contengono il frutto secco, simile alle nocciole e altrettanto gustoso, buono per realizzare dolci e da cui si ricava anche un ottimo olio. Le foglie morte al suolo, mentre le sue gemme appena sbocciate sulla pianta, incominciano a notarsi per il loro colore dorato. Più avanti in una scarpata sotto alcuni alberi si notano dei cespuglietti di erica con ancora i fiori ormai secchi della primavera passata.
Il percorso che ho fatto si è concluso su di un “roccolo”, dove i cacciatori hanno fatto una spianata, e al confine hanno piantato degli alberi bassi, tra cui qualche albero di sorbo dell’uccellatore che ha delle bacche rosse di cui gli uccelli sono ghiotti.
Durante il periodo di caccia le persone si nascondono in un casotto di legno con piccole fenditure da cui prendono la mira.
In diversi punti del bosco qualche povero fungo rimasto sicuramente congelato per una prematura brinata, spunta qua e là, tra tutti un ‘zolfino perfettamente conservato.
Subito sotto si vede un boschetto di betulle riconoscibile dal tronco con corteccia bianca e qualche screziatura nera all’attacco dei loro numerosi rami spogli che tendono verso l’alto.
Vista la poca neve, mai avrei pensato di poter scorgere le orme di una lepre, e mi sono emozionata nel momento di fotografarle, si nota benissimo l’impronta completa della zampetta posteriore, e le due anteriori, come se la lepre si fosse fermata un secondo a riprendere fiato o per qualche rumore sospetto.
Se nel bosco insieme a tutto ciò che ho visto ci siano anche i folletti non mi stupirei affatto, ma per quella giornata non ho avuto l’opportunità di scorgerne alcuno, questo non toglie il piacere delle mie semplici scoperte, che mi hanno riempito il cuore e mi hanno fatto trascorrere una giornata serena e piena di curiosità!
Il bosco ci offre ospitalità cibo ad ogni stagione, riparo.
A volte sono proprio questi momenti che ti arricchiscono l’anima, e ci fanno fantasticare, ci accorgiamo di quanto la natura varia e misteriosa, viva e palpitante intorno a noi, invece di percorrerla velocemente per sport, senza notare nulla, o rubando e inaridendola per fini puramente egoistici.

Vi consiglio come lettura di un vecchio libro:
l segreto del bosco vecchio racconto giovanile di Dino Buzzati, pubblicato nel 1935, è il secondo romanzo scritto da Dino Buzzati. L'opera è vagamente allegorica e in forma di fiaba .
Ne è stato tratto un film del 1993 diretto da Ermanno Olmi.
Il film è stato girato nelle zone montane comprese tra Auronzo di Cadore e il valico alpino delle Tre Croci.

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