venerdì 24 dicembre 2010

TARTUFI, UN MONDO SOTTERRANEO

BIANCO O NERO, AD OGNUNO IL SUO

 

ARTICOLO ELENA CHIESA, 
 SUGGERIMENTI E FOTO DI GIANNI MIGLIETTA

Cari lettori…
Oggi mi cimento con i 'Tartufi',‘fungo nobile’, che però conosco poco a livello scientifico, così mi sono informata attraverso libri e Internet.
In compenso ho conosciuto Gianni Miglietta, grande cercatore di questi fantastici esemplari qui in foto, e che mi ha ispirato per il post.
Lui è un vero fanatico e ci va quasi ogni giorno, sole o pioggia, da primavera all’inverno, con i suoi adorati cagnolini addestrati.
Anche per lui, come per i fungaioli di fronte ad un porcino o ad un ovolo, la soddisfazione nell’estrarli dalla terra è la stessa di quella di un cercatore del klondike per una pepita d’oro.
In più non è solo ma con i suoi ‘amici’ fidati, i suoi cani che sentono l’eccitazione e partecipano all’euforia del ritrovamento.
Il suo entusiasmo mi ha contagiato tanto che se lo andrò a trovare nel Salento, mi piacerebbe poter fare un giro nei boschi con lui, e magari dargli qualche dritta per gli altri funghi!
Lui naturalmente di funghi ne conosce, e ne raccoglie qualche varietà nel suo peregrinare, e li prepara e cucina volentieri agli amici, perché come me e altri, preferisce mangiare altre qualità ai tartufi!
Conosce anche un modo per conservarli, visto la delicatezza del prodotto; ne fa un battuto aggiungendo olio e li mette nel freezer a congelare, senza conservanti.
Essere suo amico conviene, perché a quanto pare è anche generoso, distribuisce vasetti di ‘salsine’, come le chiama lui, agli amici stretti!
A me il tartufo sinceramente non piace, proprio per quel suo ‘aroma’ penetrante che mi stordisce, anzi li apprezzo solo affettati sulla fonduta valdostana, perché riesce a mitigarne l’odore.
Ricordo che anni fa quando ancora ero una bambina, eravamo sotto Natale a casa dei nonni, una grande casa seicentesca, piena di stanze comunicanti, e, andando dalla camera ‘fredda’, una delle ultime appena riscaldata che dovevo attraversare per andare alla camera dei ‘giochi’ chiamata così da noi perché ripiena dei giocattoli di mamma, dei nostri e di mille oggetti portati in Italia dai vari cantieri, dove eravamo stati negli anni, si sentiva uno strano odore. La nonna preoccupata aveva controllato tutto ciò che c’era nella stanza, essendo fredda faceva un po’ da cella frigorifera per ortaggi invernali, frutta, conserve, marmellate e adibita anche per lo stiraggio, senza comprendere cosa potesse essere andato a male!
A Natale mio nonno chiese che si facesse la fonduta, e finalmente alla vigilia andò nella camera ‘fredda’ e portò alla luce un piccolo tartufo bianco che orgogliosamente affettò sulla fontina e svelando così a tutti il mistero! So che mia nonna prima fece un sospiro di sollievo, e poi si mise a ridere!
Quella è stata la prima volta che ho mangiato quel prezioso fungo, è non so se perché affamata, o per la novità lo trovai gradevole, ma in seguito, non posso certo elencarlo tra le mie pietanze preferite, per quanto sia considerato una leccornia per i palati fini.
Una cosa che non sapevo, è che i tartufi si possono trovare in quasi tutta Italia, compresa la Puglia, in questo caso il Salento.
Gianni non si ferma solo nelle sue zone, ma spazia in altre Regioni italiane e si è spinto fino sui Balcani.

Il tartufo, in latino ‘Tuber’, detto anche anticamente ‘territùfru’, parola gergale del tardo latino ‘terrae tufer’ (escrescenza della terra) perché assomiglia al tufo, pietra tipica del centro Italia, è chiamato oggi, in gergo, nelle diverse Regioni di raccolta, ‘trifola’, ‘tartùfola’, ‘trìfula’ e ‘tréffla’ .
I tartufi fanno parte della famiglia delle ‘Tuberaceae’, appartengono alla specie dei funghi ‘ipogei’, cioè funghi che crescono nel sottosuolo, da ipogeo, sotterraneo, crescono tra le radici di alcuni alberi e arbusti, in particolare; querce e lecci (quercus ilex), pioppi, tigli, salici, carpini, faggi, noccioli, pini, sono funghi simbionti, cioè hanno una relazione con le radici della pianta sotto cui nascono.
Per tartufo si comprende solo il frutto, simile al tubero di una patata gibbosa, e la ricerca viene di solito affidata ai cani e talvolta anche ai maiali per il loro particolare fiuto; l’uomo non sarebbe in grado di accorgersi della loro presenza.
L’ideale sarebbe cercarli con il maialino, ma il problema è che al contrario dei cani, è ghiottissimo del tartufo, e quindi bisogna essere svelti a spostare l’animale nel momento in cui lo individua, se no lo mangia, ed a volte può irritarsi e diventare pericoloso.
Quindi i ‘tartufai’ scelgono in generale i cani, ben addestrati, ne esistono razze particolari, ma forse è meglio se si addestrano i bastardini di piccole dimensioni fin da cuccioli.
Il suo odore persistente e penetrante, aiuta ad attirare gli animali selvatici come il cinghiale, il tasso, il ghiro e la volpe a ‘scavare’ nella terra e individuarli anche in profondità e così spargere le spore per il bosco.
Esiste una varietà di tartufo detto ‘Tartufo del deserto’ che nasce nell’area mediterranea, in zone semidesertiche, molto apprezzato dai popoli mediterranei.
Anche In Francia e nel Nord Europa, specialmente in Germania e Inghilterra venivano raccolti già molti anni fa’ considerandoli un cibo ottimo.
Già nell’antichità i tartufi erano pregiati e considerati afrodisiaci, dando al loro sapore e aroma un’importanza altissima, amati dai nobili e dagli alti prelati.
 Esiste una leggenda greca dove si raccontava che essi erano creati dai fulmini scagliati contro le querce, dagli dei.
I più pregiati in Italia sono considerati quelli Bianchi del Piemonte che comprende l’area di Casale Monferrato, Alessandria, Acqui Terme, fino alla Liguria, Asti, la zona delle Langhe e il Roero.


Specialmente nel medio Evo e nel Rinascimento, i tartufi del Monferrato avevano un grande commercio, erano destinati alle Case Reali, come i Gonzaga, e i Visconti-Sforza, ovviamente anche nel Regno Piemontese dei Savoia.

Tra gli estimatori del tartufo bianco piemontese, ricordiamo Giacomo Rossini che lo considerava il Mozart tra i funghi!
Ai giorni nostri, già nel 1933, Il Times
I tartufi sono anche raccolti tra le Marche e la Toscana, dove c’è una grande proliferazione, sia di bianchi che di neri.
L’Italia Centrale è la zona di maggiore raccolta, in particolare ad Acqualagna, dove esiste La fiera del Tartufo più importante del Paese, ad Ottobre e Novembre, rendendo famose anche Urbino e Pesaro.
Altra zona molto affermata è la zona dei Monti Sibillini, conosciuta in particolare per il migliore tartufo nero.
Anche il Molise ha una buona produzione sia di bianco che di nero.
Ad Agosto a San Pietro Avellana <http://it.wikipedia.org/wiki/San_Pietro_Avellana> fanno la Fiera provinciale del tartufo e fa parte di una delle 20 città Nazionali del Tartufo.
(San pietro avellana è la zona di caccia preferita da Gianni, quando i Balcani buttano poco come quest’anno….è anche il posto con più casi in assoluto di avvelenamenti dei cani.
In questo magico mondo dei tartufi c’è chi non gradisce la concorrenza e semina bocconi avvelenati nei boschi o nelle vicinanze delle macchine.
I tartufi Italiani sono conosciutissimi e pregiati in tutto il mondo, tanto che spesso vengono venduti alle aste a prezzi astronomici.
A dicembre 2008, il milionario cinese Stanley Ho 
<http://it.wikipedia.org/wiki/Stanley_Ho>  (che nel 2007 aveva sborsato 330.000 € per un tartufo toscano di 1500 grammi), si è aggiudicato nella prima Asta internazionale del tartufo svoltasi a Roma in videoconferenza un tartufo molisano di 1200 grammi, trovato a Spinete <http://it.wikipedia.org/wiki/Spinete> per 200.000 €, cifra che per volontà di colui che l'ha trovato è andata in favore di Telethon <http://it.wikipedia.org/wiki/Telethon. Un anno dopo, alla seconda edizione di tale asta, il magnate si è aggiudicato un altro pregiato fungo molisano di 900 grammi per 250.000 €.
Altra curiosità; da circa un secolo si cerca di realizzare la coltivazione dei tartufi come per altri funghi, In Italia in Francia e nel resto del mondo.
Molte sono le varietà che cambiano anche il nome dalle stagioni, tra le più conosciute ricordiamo:

Tartufo Nero Pregiato, nome latino TUBER MELANOSPORUM VITTADINI; tartufo di Norcia e di Spoleto con piccole verruche accentuate poligonali.

Da maturo In superficie è nero, l’interno è anche scuro, da caffè a nero, segnato da fitte intersezioni bianche. Dopo il tartufo bianco, è considerato il migliore delle varietà sul mercato internazionale, apprezzato specialmente in Francia; lo si raccoglie d’inverno fino alla primavera.
Il suo micelio ha un’azione particolare che desertifica il terreno circostante, è uno di quei tartufi che ha bisogno del sole per maturare per cui produce un enzima che penalizza la crescita delle erbacce.

Il Tartufo Nero Liscio, nome latino TUBER MACROSPORUM VITT, poco conosciuto e commercializzato, ma ottimo, dal sapore di aglio, liscio e con piccole protuberanze.
Cresce tra le radici di pioppi, tigli, quercie e noccioli

Il Tartufo Estivo o ‘Scorzone’, nome latino, TUBER AESTIVUM VITT, ha grandi dimensioni, molto simile al tartufo nero, ha verruche nere piramidali, brune, ma si diversifica da quello nero per il colore della carne che diventa giallo scuro tagliandolo. 

Cresce in terreni d’argilla e sabbia generalmente nei boschi di latifoglie, ma anche nelle pinete. E’ usato in cucina nella realizzazione di salumi, come insaporitore. Utilizzato anche per realizzare le salse ed intingoli per la carne.
Si raccoglie tra Maggio e Novembre inoltrato.

Il Tartufo Nero Invernale, nome latino TUBER BRUMALE VITT. Molto meno pregiato del nero, viene però facilmente confuso con quest’ultimo perché nasce nello stesso periodo e nello stesso habitat, in simbiosi degli stessi alberi, ma la pellicola esterna è più liscia, e leggermente meno verrucosa ma dello stesso colore del tartufo nero. La carne dopo che è tagliata si scurisce evidenziando le venature interne. Un particolare interessante, ha un aroma di noce moscata.

Il Tartufo Bianchetto, nome latino, TUBER BORCHII VITT, è un tartufo molto ricercato per l’Italia centrale specie per Toscana Emilia e Marche anche se è considerato inferiore al tartufo bianco, si confonde con il Tuber Magnatum, perché ha le stesse caratteristiche morfologiche, soltanto che quando è maturo si scurisce maggiormente, lo stesso succede alla carne interna. Ed oltre a questo inconveniente, il suo aroma è tenue e delicato da giovane, ma a piena maturazione aumenta l’intensità dell’odore d’aglio, fino a diventare nauseante!

Il Tartufo Bianco Pregiato, nome latino TUBER MAGNATUM PICO è considerato il ‘Tartufo’ per antonomasia, rinomato in tutto il mondo come il più pregiato in assoluto e può arrivare a costare cifre astronomiche!
Viene chiamato anche Tartufo d’Alba dove viene fatta una delle famose fiere italiane, ma viene trovato in tutta Italia.

Ha un’aspetto globoso, molto irregolare con piccole verruche, quasi inesistenti, liscio a, tatto, quasi vellutato, il suo colore esterno passa dal colore ocra chiaro al crema scuro , fino a diventare verdastro.
La carne è in generale bianca o leggermente giallina con ben visibili le venature.
Il suo profumo è inconfondibile e si differenzia da tutti gli altri tartufi, in particolare, perché non presenta l’odore agliaceo delle altre varietà.

Questo tartufo vive i n simbiosi con latifoglie, come tigli, querce, pioppi salici e noccioli, ma anche se il suo habitat è simile a quello degli altri non lo si trova mai insieme a loro. (il Macrosporum e il Tuber Brumale variante Moschatum nascono nelle stesse zone)
Il terreno deve essere soffice ed umido, ricco di calcio ed areato.
Questo terreno non si trova facilmente con queste caratteristiche e quindi questo tartufo diventa speciale e unico!
Si raccoglie tra ottobre e Dicembre.

 


BIANCO O NERO; AD OGNUNO IL SUO

giovedì 23 dicembre 2010

BIANCO SOFFICE NATALE

MERINGHE

Sotto le feste si fanno ricette dolci e salate, e spesso avanzano i bianchi d’uovo, che farne?
Le meringhe sono un’ottima idea, e oltre alla loro bontà, il loro colore bianco dorato ci ricordano il Natale. Quasi ogni anno noi le facciamo, anche perché ho un nipotino celiaco che sfortunatamente può mangiare, come dice lui, solo cose ‘speciali’, e per sua grande felicità le meringhe fanno parte dei dolci che può mangiare con noi!
Pochi ingredienti semplici per queste spumose dolcezze!


INGREDIENTI
3 albumi per una teglia da forno
60 gr di zucchero per albume
Un pizzico di sale
250 gr di panna fresca per dolci

PREPARAZIONE
Mettiamo gli albumi, con un pizzico di sale, in una ciotola profonda e montare a neve, meglio con fruste elettriche, (a meno di essere molto bravi anche a mano), ma non completamente, il composto non deve essere troppo compatto, solo fino a che non ci sia più corpo liquido. Aggiungere ora metà dello zucchero a pioggia, amalgamandolo delicatamente. Torniamo a montare il composto fino a ottenere una crema consistente, bella bianca.
A questo punto aggiungiamo lo zucchero rimanente e amalgamarlo con un cucchiaio senza mescolare troppo, lo zucchero si deve intravvedere nell’impasto un po’ grumoso. A cottura Ultimata darà alla meringa una particolare ruvidità alla superficie.
Preparare la teglia con un foglio di carta da forno.
Con un cucchiaio bello pieno, fare le dosi per la meringa, che devono essere appoggiate sulla teglia velocemente e dando un leggero giro di polso per dargli la loro caratteristica forma, oppure usate la busta da cuoco per decorazione con foro grande.
Realizzare non più di quattro meringhe per fila lasciando almeno 2-3 cm tra una e l’altra meringa perché il calore del forno le fa gonfiare. Infornare la teglia a metà del forno per impedire che brucino.
Il forno deve essere a 150° e ogni dieci minuti bisogna abbassarlo di una decina di gradi, fino a forno quasi freddo.




Quando le meringhe sono leggermente dorate controllare ogni tanto la consistenza, se cotte, spegnere e lasciarle ancora fino a che il forno sia freddo.
Come già detto per altre ricette, ogni forno ha una sua cottura, quindi è difficile sapere regolare perfettamente il forno, quindi controllare spesso il forno in questo caso senza aprire per almeno metà cottura.

Se sono venute bene, devono essere molto friabili e delicate e gonfie.
A volte non cuociono perfettamente al centro del fondo, rimanendo leggermente gommose, si può scegliere di infornarle nuovamente a 50° gradi per asciugarle ulteriormente o lasciarle così.
A me personalmente piacciono con il fondo morbido e gommoso, forse perché mi fanno tornare all’infanzia, allora mi sembrava di mangiare le ‘cicche’ che in casa mia non erano molto gradite e quindi rare…
Sono già buone così, ma a scelta, si monta la panna fresca, e per rendere più facile mangiarle, dare un colpetto di nocca sul fondo e creare un avvallamento per appoggiarci la panna o semplicemente metterla a lato sul piattino.
Brindate tutti insieme con un bel bicchere di Moscato e Buon Natale a Tutti!




































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sabato 18 dicembre 2010

PORCINI PRIMAVERILI



I PORCINI E LE LORO STAGIONI.

Di solito tutti vanno per funghi tra Settembre e Ottobre, ma forse non tutti sanno che i porcini si possono trovare anche in altri periodi dell’anno.
Tutto dipende dall’habitat, dal freddo o caldo, dalla zona, dalla pioggia dal vento… insomma li si può trovare anche dopo Aprile e fino a Novembre inoltrato!!!

Questo avviene senza dubbio in Turchia, dove sono stati raccolti questi fantastici esemplari.

Questi in particolare sono dei primi caldi di primavera inoltrata, tra Maggio e Giugno, lo si può notare dai nuovi verdissimi aghi di abete sugli alberi vicini e dall’erba e la salvia selvatica fresca, tra i 600 e 800 metri di altitudine, al limitare del vero bosco, in radura, dove la temperatura è più mite e il sole scalda la terra. Probabilmente il vento li ha leggermente disidratati provocando quelle screpolature sulla base del cappello.
Già ho accennato in altri articoli, che in Turchia i funghi sono molti e possono avere dimensioni davvero eccezionali come dimostrano questi ultimi, in particolare perché i turchi non li mangiano e anche se raccolgono altre qualità, sono convinti che il porcino sia tossico e non si fidano a raccoglierlo.

Questo spiega la quantità anche perché il terreno non viene calpestato e l’habitat rimane intatto.
Peccato che in questi ultimi anni gli europei e specialmente gli italiani inizino a sfruttare anche queste zone di raccolta, utilizzando uomini e donne del luogo per importarli in Italia e quindi sui nostri mercati, come succede per i Porcini della “Jugoslavia” dei “Balcani”, “Polonia” ecc…
C’è chi sostiene che in qualsiasi caso ‘Quelli Italiani’ siano sempre i ‘MIGLIORI’, come ovviamente quelli della Val di Taro o Borgotaro che sia, ma io che li ho assaggiati tutte e due freschissimi, non trovo differenza alcuna!!!
Per me una cosa essenziale è che la raccolta venga fatta con giudizio; non prenderli troppo piccoli, pulirli subito con un coltellino adatto, così non si riempiono troppo di terra tra di loro e anche togliere le parti bacate, stenderli in un cestino di vimini su un letto di foglie giovani o felci (senza fare scempio delle piante circostanti), per impedire ‘l’incalorimento’ cioè l’umidità del fungo che fa continuare la maturazione e lo scalda, specialmente se devono restare per molto tempo nel cestino prima di tornare a casa, facendo anche molta attenzione nel trasportarli, per non ammaccare il fungo e cercare sempre con le foglie di dividere le varie specie che si raccolgono, tipo le ‘Mazze di Tamburo’ che sono più leggere e delicate e lasciano piccole scaglie che si attaccherebbero sugli altri esemplari, poi arrivati a destinazione toglierli dal cestino aprirli controllarli, dividerli per qualità e possibilmente pulirli subito anche se si è stanchi dopo la giornata nel bosco.

In questo caso, rendiamo più semplice la pulizia al momento di cucinarli e diminuendo anche lo scarto.Se il fungo è simile a quelli, qui riportati, si possono utilizzare in ogni maniera; fritti, nel risotto, nelle tagliatelle, in un sugo misto o addirittura sott’olio, perché ancora completamente sodi. Ovviamente se ne raccogliamo molti, si possono anche surgelare e seccare.
In qualsiasi caso prima di procedere, controllare se sono bacati, perché non è detto che siano sani, anche se giovanissimi, sfortunatamente in certe annate per quanto belli alla vista, regalano brutte sorprese al taglio, a volte si deve buttare tutto, a volte solo il gambo o solo la testa, perché non è detto che i ‘bacolini’ arrivino dalla terra...
Se i porcini hanno questo inconveniente, e non si mangiano subito, meglio conservarli in frigo e tagliare la parte rovinata se no, sono da buttare, il freddo non impedisce completamente la loro crescita.
A volte basta la nuova gettata per non incorrere in questo inconveniente.
Per esempio quest’anno in Italia dove li ho raccolti per tutto Agosto, erano bellissimi, ma in Turchia per quanto belli, sia in primavera che poi ad Ottobre e novembre erano bacati.



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martedì 14 dicembre 2010

GOBELETTI


GOBELETTI, DOLCETTI PER LE FESTE!

Sta arrivando il Natale, e così mi sono cimentata in una vecchia ricetta di casa mia.
Avevo un amico a casa e così, oltre alla crostata e a dei biscotti, ho preparato queste simpatiche crostatine che pensavo fossero piemontesi, visto le mie origini, ma ho scoperto poi che sono una ricetta che viene realizzata in Liguria tra Savona e Genova.
Infatti i gobeletti sono arrivati in casa nostra da una zia di origini liguri, mia mamma trovandoli buoni e semplici da realizzare, li ha subito messi tra le ricette di famiglia.
Lei come tante altre famiglie ha in casa il ‘Cucchiaio D’argento’ il ricettario più famoso che ci sia, e che una volta veniva regalato quasi come corredo alle sposine.
Lei lo tiene quasi come una reliquia, e per chi lo ha in casa, sa che tra foto ingredienti e preparazioni, ci sono diversi figli color pastello senza testo, che lei ha utilizzato per aggiungerci le ricette di dolci e pietanze tramandate in famiglia o acquisite negli anni da amici conosciuti in tutto il mondo, a volte anche le stesse del libro ma con le variazioni di chi le ha cucinate, che rendono questi piatti unici.
I gobeletti qui descritti, fanno quindi parte di questi ultimi.
La preparazione è simile alla crostata, solo leggermente più impegnativa a causa delle loro dimensioni e specialmente delle formine che devono essere ben imburrate per impedire che l’impasto si attacchi nel momento di toglierle e metterle nel vassoio!
Le Formine si trovano in un qualsiasi supermercato o nei negozi di articoli per la casa, di solito in gruppo di 4-8 pezzi con forme diverse, meglio comprarne almeno due dozzine, così poi non bisogna aspettare per la seconda infornata (lavare e pulire le scanalature dal burro e farina è impegnativo e porta via parecchio tempo).
La particolarità di quest’ultime è che sono lavorate e profonde, e forse da questo motivo prendono il nome di gobeletti.



INGREDIENTI        
300 g di farina
150 g di zucchero
180 g di burro
Un uovo e un tuorlo
Un limone
Un cucchiaino di lievito
Una busta di zucchero a velo
Marmellate a scelta. Meglio quelle dal sapore acidulo per un maggior contrasto col dolce della pasta frolla.
PREPARAZIONE
Come per la crostata prendere la farina e per rendere più semplice il lavoro, metterla in un grosso recipiente, aggiungere lo zucchero, il lievito e la buccia di limone precedentemente grattugiata.
Aggiungere il burro a fiocchetti e le uova.
Amalgamare senza impastare troppo, anzi cercare di lavorare il meno possibile fino a che tutti gli ingredienti si uniscano formando una palla, prendere un panno e mettere a riposare per almeno mezz’ora in frigorifero.
Nel frattempo, iniziamo a imburrare le formine, con burro freddo, o per semplificare l’operazione prendere un cucchiaio di burro e scioglierlo in un pentolino e poi stenderlo con un pennello. In tutte e due i casi, fare ben attenzione che il burro sia penetrato in tutte le scanalature, quindi infarinare leggermente, se in alcuni punti la farina non si attacca alla formina ripassare il burro e successivamente la farina.

Per rendere più semplice togliere dopo la cottura i dolcetti, ritagliare delle piccole strisce di carta da forno che verranno appoggiate all’interno delle terrine.
Quando l’impasto viene tolto dal frigo stenderlo su un piano di legno leggermente infarinato.
La pasta deve avere lo spessore di 5 millimetri circa.
Appoggiarci e imprimere le formine capovolte per ritagliare la forma, ma ricordandoci di mettere le strisce di carta all’interno.
Stendere un piccolo strato di marmellata nell’incavo.
Usando la rotellina realizzare delle piccole strisce di pasta da mettere incrociate come decorazione.
Infornare come per la crostata a 180° C con forno caldo, per 40 minuti circa, ma guardare ogni dieci minuti aprendo tranquillamente il forno e controllare la doratura della pasta, questo perché la cottura è più veloce di una torta e il calore del forno varia da modello a modello, rischiando di far bruciare i dolcetti.
Tolti dalla teglia, aspettare che i gobeletti si raffreddino, sempre per evitare che la pasta frolla si rompa.


Quando i dolci sono quasi freddi, aiutandoci con le linguette di carta, prenderli ed appoggiarli nel vassoio con delicatezza.
A questo punto spargere lo zucchero a velo. Anche se sui miei non c’è, soltanto perché non lo avevo in casa, lo zucchero a velo è una delle particolarità di questi dolci.
I gobeletti possono avere forme leggermente diverse, in alcuni casi sono completamente ricoperti e non si vede il ripieno, essere di marmellata o nutella, ovviamente questo dipende dal vostro gusto... e se ci farete delle leggere variazioni, potreste anche voi metterli tra le vostre ricette di casa!!!
I miei sono rimasti croccanti e friabili, non si sono rotti nello sfornarli e devo dire che per essere la prima volta che li preparo, mi complimento da sola!


Qualche giorno dopo ho preparato altri gobeletti,
Ecco qui come devono apparire dopo aver aggiunto una bella spolverata di zucchero a velo!
Più sono chiari, meglio è la riuscita!






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lunedì 13 dicembre 2010

MOTORADUNO.....



DUE RUOTE O SIDECAR?

Tra i miei amici lettori, ho conosciuto Giampiero Berti, un appassionato delle due ruote!
Chiacchierando con lui, ho sentito il desiderio di scappare da Milano e farmi un giro sulla moto, perché il suo entusiasmo mi ha trascinato nei suoi itinerari montani, tra boschi, cielo, nuvole e ghiacciai.

GIAMPIERO BERTI
Essendo anche uno dei soci del club degli eventi italiani, mi ha detto che in questi giorni il 10-12 DICEMBRE c’è stato il Motoraduno,
LIGURIA – XVI WINTER OCTOPUSTREFFEN – ALBEROLA (SV)
Storico evento per i più duri, definito un "Elefantentreffen italiano", anche se, ormai, vede la partecipazione di moltissimi motociclisti stranieri. Si svolge presso il rifugio Monte Cucco, che offre la possibilità di dormire con il proprio sacco a pelo in locali riscaldati.

RIFUGIO MONTE CUCCO


Un raduno per tutti che potrebbe promettere neve o, se va bene, solo brina! Per vedere video e foto delle precedenti edizioni, oltre al programma e alla mappa per arrivare al rifugio: www.touringgenova91.it, il sito del Moto Club organizzatore.

SIDECAR E MOTO DEI PARTECIPANTI



Anche quest’anno sono arrivati numerosi, più di 200, tra motociclisti e patiti di sidecar….
Che ci sia vento, neve o pioggia, si presentano puntuali all’evento, con moto e sidecar d’epoca o di ultima generazione.
Le foto riportate sono tutte di Giampiero Berti. Più avanti dedicherò un articolo ei suoi viaggi tra le Alpi italiane e oltre confine…
Per maggiori informazioni andate su questo link:

http://genova.repubblica.it/cronaca/2010/12/11/foto/motoraduno-10091506/1/























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martedì 7 dicembre 2010

BISHOP CROWN


PEPERONCINO PICCANTE

I funghi a volte possono essere insaporiti con una salsa piccante, aggiungendo qualche peperoncino, come ad esempio questo simpatico e stravagante esemplare...

Cappello del Vescovo: Bishop Crown




Qualche anno fa a Milano entrando in uno di quei negozi dove si vendono articoli commestibili un po’ da tutto il mondo, sono incappata in questi peperoncini, ho chiesto notizie, ma sfortunatamente la venditrice filippina non era stata in grado di fornirmi alcuna informazione precisa…
Quest’anno a Ottobre, i miei tornando dalla Turchia, dove hanno una casetta, hanno portato questi esemplari, che gli sono stati regalati da loro amici turchi che ne avevano una piccola produzione. L’anno scorso ne avevano anche invasato una piantina nel loro orto, ma essendo troppo grande non è stata portata in Italia, in compenso mia mamma ha portato i frutti da seccare per poterne ricavare i semi, che proverà a seminare verso febbraio come indicato da diversi testi trovati su internet.



Credo che tra tutte le forme di peperoncino esistenti in tutto il mondo, questo esemplare abbia davvero qualcosa di singolare…

In Italia è chiamato volgarmente ‘Peperoncino a Campanella’ o anche 'Cappello del Vescovo' dal latino; (Capsicum Baccatum), per la sua caratteristica forma, a campana con tre protuberanze laterali nella parte superiore all’altezza del picciolo, e una protuberanza interna, che lo fa assomigliare anche ad un fiore a campanella.
In Piemonte è detto anche ‘Disco Volante’, specie in una varietà con il frutto maggiormente schiacciato in altezza.

Quelli che vi mostro nelle foto, devono essere di una varierà leggermente diversa, perché il frutto, non ha sempre tre protuberanze laterali, a volte 4, leggermente più simili a dei petali facendolo assomigliare quasi a un’orchidea, specialmente nella parte centrale dove la protuberanza assomiglia allo stamo del fiore.




Il frutto può crescere fino a diventare delle dimensioni di 6-8 cm di diametro e circa 5-7 cm di lunghezza.
Acerbo ha un bel colore verde intenso, poi come molte altre specie tende prima all'arancio e poi al rosso, fino a diventare quasi bordeaux quando è secco.
La buccia sottile, resistente e lucida contiene una polpa soda e croccante di uno o due millimetri dal caratteristico sapore e profumo dei peperoni, leggermente piccante specialmente se si utilizzano anche le coste e i semi.
Come gli altri peperoncini, lo puoi coltivare a cespuglio o trovare anche ad alberello con un’altezza di 30-40 cm.
Può arrivare a produrre 6 -7 Kg di peperoncini in una stagione, perché non è una pianta stagionale, ovviamente dipende dall’habitat in cui sarà coltivata, in terra, in serra in luoghi umidi o secchi.
I semi possono vivere a lungo per diversi anni se ben conservati chiusi, ben asciutti, in un barattolo ermetico in frigorifero nella vaschetta della verdura…
Per seminarli però è meglio lasciarli a temperatura ambiente per rigenerarli.
Essendo piantine che non sino troppo grandi possono essere coltivate sia sul balcone quanto in casa.
I semi devono essere piantati sotto uno strato di terreno di un millimetro, in vasetti piccolini, ne esistono alcuni che sono deteriorabili In torba compressa, così nel trapianto, possono essere invasati essi stessi senza bisogno di essere eliminati e rischiare di far soffrire le radici, metterli in un luogo caldo umido, e quindi in Italia, dove la loro coltivazione è in Febbraio-Marzo, conviene, preparare piccole serre o mantenerli vicino a una fonte di calore indiretta, e lasciare umido lo strato del terriccio, con un calore tra i 25-30°C circa.
Per una buona coltivazione, usare un’acqua sterile, senza cloro.
Alla nascita dei germogli meglio liberarli, se tenuti fuori in serra, dalla copertura in plastica, e controllare che non gelino o si secchino troppo.
E’ una pianta inizialmente è delicata e soffre gli sbalzi di temperatura.
Se riescono a superare i primi mesi di vita, diventano piantine tenaci e durano negli anni.
Se i semi sono stati posati a terra all’inizio della primavera, mettono più tempo a crescere e poi a fruttificare, ma non conoscono il trauma del nuovo invaso.
Le piantine dopo un mese o due, dipende a che punto è la loro crescita, devono avere una decina di foglioline, oltre ai cotiledoni, possono essere invasate in vasi più grandi, facendo attenzione a non rovinare le radici, una a una per una crescita migliore, perché come detto prima possono crescere parecchio e avranno quindi bisogno di maggiore terreno ben areato, possibilmente nella torba, ed aggiungere dei fertilizzanti appropriati una volta a settimana, velocizzando così la loro crescita.
Quando si invasano, controllare che il terreno abbia una temperatura sui 18°, perché nel caso che ci sia già un principio di bocciolo, le piantine potrebbero non morire, ma non arrivare alla fioritura, in questo caso, non fruttificheranno per il primo anno o avere una fioritura ritardata che arriverebbe a fruttificare troppo tardi e non a completa maturazione.
La fertilizzazione del terreno deve continuare più sporadicamente negli anni, (due o tre volte l’anno), per un maggiore raccolto e diminuire l’inaridimento del substrato del terreno, con Azoto, Fosforo e Potassio.
Se la pianta è in vaso, e la stagione è particolarmente secca, mantenere il sottovaso con un dito d’acqua che mantiene la terra umida, ma fare attenzione a che le foglie non ingialliscano, in quel caso si rischia di far marcire le radici, anzi la cosa migliore sia in vaso che nella terra, mettere dopo il primo strato di torba, della sabbia, per un migliore drenaggio dell’acqua.
Il frutto maturo, può essere mangiato fresco, secco o conservato sott’olio, liscio o condito come i nostri ‘spagnoletti’ molto utilizzati nel meridione, ripieni di tonno acciuga e olive, il loro sapore sarà più delicato, perché meno piccante.





Per maggiori informazioni, rivolgetevi al sito, dove mi sono appoggiata per realizzare lo spot:

http://baobab.zeta-zone.eu/semi/coltivazione%20peperoncino.htm





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sabato 4 dicembre 2010

RISOTTO AL DENTE



RISOTTO AI FUNGHI PORCINI E FINFERLE

In questa stagione è davvero piacevole poter pranzare con un bel risotto caldo e se nell’Autunno si sono seccati i funghi, se ne può scegliere qualità diverse per realizzare un buon piatto. In questo caso ho provato a utilizzare ‘porcini’ Boletus Edulis e ‘finferle’ Cantharellus lutescens, e devo dire che per il mio palato, si combinano perfettamente. Quando si usano i funghi secchi non bisogna esagerare nella quantità, perché il loro aroma è molto più intenso dei funghi freschi, e quelli secchi equivalgono un etto per un chilo di freschi.


Ovviamente potete usare anche una busta di funghi comprati, ma non saprei dove possiate comprare le finferle secche, forse in alcuni negozi specializzati espressamente di funghi.







INGREDIENTI
Una manciata a testa di porcini e finferli secchi.
Mezza cipolla chiara
Uno spicchio di aglio
Olio di oliva (o extravergine a vostro gusto)
Una noce di burro
Una foglia di alloro
Un pugno e mezzo di riso carnaroli a testa.
Sale grosso e pepe
Parmigiano reggiano grattugiato



PREPARAZIONE

Prima di tutto, prendere i funghi porcini e spezzettarli (tenerne qualcuno intero da usare dopo come guarnizione, se preparate una cena), fare altrettanto con qualche finferla se molto grande di dimensione.



Mettere i funghi in acqua tiepida fino a che siano rinvenuti, poi, senza gettare l’acqua scolarli e strizzarli leggermente.

Prendere una padella con fondo largo, tritare la cipolla e farla rosolare nell’olio assieme alla foglia d’alloro e allo spicchio d’aglio che a vostra scelta toglierete o lascerete dopo la doratura, poi vi consiglio di aggiungere la noce di burro per rendere più mantecato e    densoilsoffritto.


Aggiungere i funghi e far andare via tutta l’acqua contenuta in modo che non restino viscidi.
Togliete i funghi per la decorazione e metteteli in una ciotola da parte.
A questo punto aggiungere il riso e mescolarlo per qualche secondo. 
Aggiungere parte dell’acqua dove erano stati i funghi e una presa di sale grosso, io lo preferisco a quello fine, mescolare una volta il tutto e lasciare crescere il riso a fuoco lento.
Controllare che il riso non si attacchi alla padella dando una girata ogni tanto, e aggiungere altra acqua dei funghi, lasciando da parte l’ultima parte, per impedire che qualche granello di terra depositato nel fondo cada nel risotto.
Controllando la cottura del riso, aggiungere altra acqua tiepida se quella dei funghi è insufficiente, fino a cottura completa del riso.


A questo punto aggiungere il pepe e una manciata di parmigiano reggiano, per rendere il risotto più unito.

Impiattare lasciando la foglia di alloro a vista, spargere altro parmigiano sopra appoggiare i funghi lasciati a parte e magari aggiungere una foflia di prezzemolo per decorare il piatto finito!
Ora sedetevi a tavola ed accompagnate il tutto con un bel bicchiere di vino rosso corposo, magari un bel barolo!










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